martedì 23 novembre 2010

appunti notturni sulla strage

sto andando in tribunale. sono in ritardo. sono sempre in ritardo. alla radio parte la breaking news: tutti assolti. ecco. fermo l'auto e sprofondo nello schienale. resto così per un po'. esco, fisso uno strano cielo blu e nero. tipo quello di late for the sky, ma più scuro. un lento respiro e risalgo in macchina. al bar davanti al palazzo di giustizia gli avvocati degli imputati brindano e si scambiano pacche sulle spalle. "vabbè, è giusto così", penso. dentro,in tribunale, incrocio lo sguardo di Manlio Milani e la vista mi si appanna e i miei occhi iniziano a bruciare, quegli infami. non ho il coraggio di avvicinarmi. non ho nemmeno la scusa di cavargli fuori qualche virgolettato per un pezzo. però lo vorrei fare. vorrei avvicinarmi e lo vorrei abbracciare forte. "cazzo manlio, cos'è quel groviglio che sento in fondo allo stomaco?!".

per quasi tre anni ho visto milani due, tre volte la settimana. martedì e giovedì. oppure martedì, giovedì e venerdì. la strage di piazza loggia ha dettato il ritmo del mio lavoro e della mia vita. prima le udienze preliminari, ad aspettare fuori dall'aula bunker (!) di collebeato. poi in aula, nel vecchio e nuovo tribunale. ho preso appunti, letto libri, raccolto decine e decine di articoli. ho sfogliato e risfogliato le 800mila pagine dell'inchiesta, pdf pesantissimi racchiusi in un piccolo hard disk. alla fine ci sono quasi entrato in confidenza, con quelle pagine. ho imparato qualcosa sul "mestiere" (grazie wilma! grazie pierpaolo!). ho persino fatto un piccolo scoop! ma la cosa che non mi leverò mai dalla testa sono le deposizioni dei primi testi. i feriti e i parenti delle vittime.

"alzai gli occhi per cercare livia, trovai ilsuo sguardo. un mezzo sorriso. e poi...poi...lo scoppio". milani è stato il primo a prendere la parola. roba di quasi due anni fa. emma aveva pochi giorni."Mi gettai là in mezzo. vidi mia moglie a terra. le sollevai il viso. mi parve di sentire ancora il suo respiro...invece...nulla...chiesi solo che le pulissero il viso". poi il macigno "perché non io? perché la stessa sorte non è toccata anche a me? me lo chiedo ancora oggi". lacrime. le mie. arnaldo trebeschi è il ragazzo piegato sul corpo del fratello alberto in quella che è probabilmente la più celebre foto della strage. "mi sono avvicinato e l'ho guardato in volto. sono rimasto lì, mentre coprivano il suo cadavere". giorgio, il figlio di alberto e clem, quel giorno aveva 18 mesi. meno di emma. non ha mai più rivisto mamma e papà. "lo abbiamo cresciuto io e mia moglie", ha raccontato arnaldo. la chiamano strage dai capello bianchi e nel vedere vecchi e anziani scavare nel loro dolore capisci il perché. ma i loro volti rugosi e ri-disegnati dal pianto dicono anche di una domanda di verità e giustizia che è ancora lì, senza risposta. anche questa volta nessun colpevole.

stasera, mentre addormentavo emma, pensavo a come le racconterò questa storia. come le racconterò che in italia c'è stato un tempo in cui andare in piazza per difendere la democrazia poteva voler dire perdere una moglie, un fratello, una madre. o la vita. "chi è stato, papà?" "non si sa". la sensazione, quasi fisica, è quella nominata con la solita lucidità da milani: impotenza. tra poche ore leggerò resoconti, analisi, commenti da chi sa e capisce più di me. intanto dico la mia: avevo dubbi sul fatto che i giudici, con le "prove" che avevano in mano, potessero ricavare una certezza di colpevolezza. 36 anni pesano sul dis-velamento della verità. "A mancare non è stato l'impegno, ma il materiale" hanno detto ieri i pm. questo nulla toglie però alla rabbia per un paese incapace di rendere giustizia ai propri cittadini. umiliati e offesi? umiliati e offesi. l'indignazione è poi doppia se si pensa ai depistaggi, alle connivenze, ai silenzi sospetti, ai non ricordi vomitati a ripetizione, ai segreti di stato. a caso: se le veline di tramonte fossero venute fuori subito, nel 74, invece che nel 1993, che sarebbe successo?

ora emma dorme. domattina la porterò all'asilo. poi passerò in piazza e lascerò un mazzo di fiori.

*scritto la notte del 16 novembre 2010

lunedì 22 novembre 2010

singhiozzi

Ecco i primi rumori dalla cantina, titolo ispirato a quell'esperienza magicamente sgangherata che furono i "basement tapes" (magari non questi, ma quelli ancora più sotterranei). . Sono ancora balbettii incerti, piccoli singhiozzi. L'idea è questa: scendere giù, in cantina, a scrivere un po’, tanto per “ammazzare il tempo” e finendo poi per dissolverlo, il tempo. O ancora: qui sotto, sedersi un attimo e, se mi va, scarabocchiare qualcosa. Se proprio lo volete detto bene, beccatevi quello che c’è scritto nella “repubblica invisibile” (questa, voglio dire) : “…a volte, è solo la maschera della distanza, dello scomparire, che ti consente di parlare…” Ora, sia detto: senza forzare l’analogia. Lui, lassù, in paradiso. Io, qua sotto, ad arrancare.